Nell’opposizione a decreto ingiuntivo è il creditore che deve avviare la mediazione
Il mondo della mediazione attendeva con impazienza la pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione riguardo l’individuazione della parte onerata a promuovere la mediazione nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo.
In verità la Suprema Corte – con la sentenza n. 24629 del 03/12/15 resa dalla Terza Sezione Civile – aveva affermato che nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo l’onere di esperire il tentativo obbligatorio di mediazione era a carico della parte opponente (ovvero del debitore).
Tuttavia tale impostazione – seguita da due ordinanze della Sesta Sezione Civile (la n. 22017 del 21/09/17 e la n. 22003 del 16/09/19) – non ha mai raccolto il consenso unanime dei giudici di merito i quali – sia prima che dopo detta pronuncia – sono rimasti su posizioni contrastanti.
E così, mentre una parte si allineava alle indicazioni provenienti dalla suddetta pronuncia, un’altra parte continuava a non condividere tale impostazione, ritenendo che l’onere di promuovere il procedimento di mediazione fosse a carico del creditore opposto. Non è questa la sede per elencare i singoli provvedimenti, mentre è opportuno richiamare, anche al fine di comprendere la portata del problema e le sue conseguenze pratiche, le principali argomentazioni a sostegno dell’una e dell’altra tesi.
A CHI SPETTA L’ONERE DELLA MEDIAZIONE?
I giudici di merito che hanno dato seguito alla pronuncia del 2015 hanno motivato tale scelta evidenziando – da un lato – che l’opponente ha la veste processuale di attore formale, in quanto è su di lui che grava la scelta di instaurare o meno il giudizio sulla fondatezza della domanda di pagamento, e
– dall’altro – il fatto che il decreto ingiuntivo è un provvedimento suscettibile di passare in giudicato in caso di mancata opposizione, per cui la parte che ha interesse ad impedire che ciò avvenga (ovvero colui indicato come debitore) è tenuta ad attivarsi, anche promuovendo la mediazione.
Il contrario orientamento – minoritario – richiama, innanzi tutto, il fatto che nel giudizio d’opposizione a decreto ingiuntivo il creditore opposto è attore sostanziale e, conseguentemente, è quest’ultimo a doversi attivare per la procedura di mediazione, come normalmente avverrebbe se si trattasse
di una causa ordinaria.
Inoltre si concentra sulla minore gravosità delle conseguenze legate a tale orientamento in quanto l’improcedibilità del giudizio di opposizione, per mancato avvio della procedura di mediazione, determina la revoca del decreto ingiuntivo senza pregiudizio per il creditore di ottenere un altro decreto identico al precedente, mentre applicando i principi della sentenza n. 24629 del 2015 l’improcedibilità
dell’opposizione produce l’irrevocabilità del decreto ingiuntivo.
Appare evidente come un simile scenario portasse un elemento d’incertezza difficilmente sostenibile in quanto, non appena decisa l’istanza di concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, a seconda del tribunale adito era il debitore a dover procedere con la domanda di mediazione (così, ad esempio, Monza, Ancona, Bari, Rovigo, Varese, Napoli, Trento) o, viceversa, il creditore (Palermo, Firenze, Ferrara, Busto Arsizio).
E’ IL CREDITORE CHE DEVE ATTIVARE LA MEDIAZIONE
Consapevole del contrasto giurisprudenziale, e della pericolosità della sua persistenza, le Sezioni Unite hanno sovvertito l’equilibrio fra le opposte teorie, attribuendo al solo creditore opposto il compito di attivare la procedura di mediazione.
La Suprema Corte, infatti, ha affermato che: «nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, i cui giudizi vengano introdotti con un decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l’onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo».
Innanzi tutto le Sezioni Unite hanno rilevato che il D.lgs. n. 28/10, sebbene non affronti direttamente il problema in esame, contiene al suo interno alcune disposizioni che non si armonizzano con la tesi che pone l’onere di promuovere la procedura di mediazione a carico della parte opponente ma, semmai, con l’ipotesi contraria.
La prima norma è l’art. 4, comma 2, il quale specificamente dispone che “l’istanza deve indicare l’organismo, le parti, l’oggetto e le ragioni della pretesa”. È, dunque, una caratteristica tipica del nostro
sistema processuale il fatto che sia l’attore, cioè colui che assume l’iniziativa processuale, a chiarire l’oggetto e le ragioni della pretesa e, conseguentemente, risulta contraddittorio con questo principio ipotizzare che sia l’opponente, ossia colui che reagisce all’iniziativa del creditore, a dover indicare l’oggetto e le ragioni di una pretesa che non è la sua.
La seconda disposizione è l’art. 5, comma 1-bis, il quale dispone che chi “intende esercitare in giudizio un’azione” relativa a una controversia nelle materie ivi indicate “è tenuto, assistito dall’avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto”. Anche in questo caso l’obbligo di esperire il procedimento di mediazione è a carico di chi intende esercitare in giudizio un’azione, e non c’è alcun dubbio che tale posizione sia quella dell’attore, che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è pacificamente il creditore opposto (c.d. attore in senso sostanziale).
L’ultima disposizione significativa è sempre l’art. 5, comma 6, il quale dispone che “dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione
gli effetti della domanda giudiziale”. Va da sé che non appare in alcun modo logico che un effetto favorevole all’attore, come l’interruzione della prescrizione, si determini per un’iniziativa del debitore opponente (convenuto in senso sostanziale).
A questi argomenti letterali si affiancano ragioni di ordine logico e sistematico. Come si è già osservato nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è l’opposto ad avere la qualità di attore in senso sostanziale, e l’onere di attivare la procedura di mediazione obbligatoria è collocato in un momento successivo alla decisione sulla provvisoria esecuzione.
A quel punto la pendenza del giudizio di opposizione è incontrovertibile e la causa è incanalata lungo un percorso ordinario, con l’inevitabile conseguenza che le parti riprendono la propria naturale posizione,
ovvero con il creditore a dover assumere l’iniziativa di promuovere la mediazione.
Peraltro la soluzione contraria sarebbe dissonante rispetto alla natura propria del giudizio d’opposizione, che non rappresenta un’impugnazione del decreto ingiuntivo ma “ha natura di giudizio di cognizione piena che devolve al giudice dell’opposizione il completo esame del rapporto giuridico controverso, e non il semplice controllo della legittimità della pronuncia del decreto d’ingiunzione” (così si esprimono le Sezioni Unite con la sentenza n. 19246 del 09/09/10).
Un secondo argomento si deduce confrontando le diverse conseguenze derivanti dall’inerzia delle parti a seconda che si propenda per l’una o l’altra soluzione.
Se, infatti, si pone l’onere in esame a carico dell’opponente, e questi rimane inerte, la conseguenza è che alla pronuncia di improcedibilità farà seguito l’irrevocabilità del decreto ingiuntivo; se l’onere, invece, è a carico dell’opposto, la sua inerzia comporterà l’improcedibilità e la conseguente revoca del decreto ingiuntivo il quale, tuttavia, ben potrà essere riproposto, senza quell’effetto preclusivo che – al contrario – consegue all’irrevocabilità del decreto.
Nella prima ipotesi definitività del risultato, nella seconda mero onere di riproposizione per il creditore, che non perde nulla. Pertanto, alla luce di quanto finora osservato, gli unici oneri dell’opponente consistono nella proposizione dell’opposizione, nella costituzione in giudizio e nella coltivazione del giudizio sino alla sentenza di primo grado, non potendo espandersi ad ulteriori incombenze che ne ostacolerebbero oltremodo l’accesso alla giustizia.
Ma anche la giurisprudenza costituzionale fornisce un ulteriore e decisivo argomento.
La Corte Costituzionale, in diverse occasioni, ha evidenziato che le forme di accesso alla giurisdizione, condizionate al previo adempimento di oneri, sono legittime purché ricorrano certi limiti, e che – in ogni caso – sono illegittime le norme che collegano al mancato previo esperimento di rimedi amministrativi la decadenza dall’azione giudiziaria.
Nella fattispecie le Sezioni Unite, per ulteriormente motivare la propria posizione, richiamano la sentenza n. 98 del 2014 nella quale il Giudice delle leggi, occupandosi di una norma del processo tributario – l’art. 17-bis, comma 2, del D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 – ne dichiarava l’illegittimità
nella parte in cui prevedeva l’obbligo di presentazione di un reclamo agli uffici tributari come condizione di proponibilità della domanda, con la conseguenza che la mancata presentazione di quel reclamo determinava l’inammissibilità del ricorso.
In conclusione le Sezioni Unite, dovendo scegliere tra due contrapposte interpretazioni, hanno giustamente preferito quella in armonia con il dettato costituzionale privilegiando, in ultima analisi, la garanzia del diritto di difesa alla finalità deflattiva della procedura di mediazione. La sentenza in commento, quindi, va accolta con favore per la sua chiarezza espositiva e solidità motivazionale e l’auspicio è quello di una sua condivisa applicazione da parte dei giudici di merito.
Avv. Lorenzo Falappi. Articolo apparso sul numero di novembre 2020 di “Sintesi”, la rivista dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Milano.