LAVORO – Jobs Act: novità nel lavoro part-time (artt. 4-12 del D. Lgs 81/2015)
DI GABRIELE BADI E ISABELLA DI MOLFETTA, CONSULENTI DEL LAVORO A MILANO –
La nuova normativa sul riordino delle tipologie contrattuali ha interessato anche l’istituto del part- time, se pur non cambiandone i tratti essenziali, modificando alcune parti della vecchia norma, snellendo e semplificando alcune procedure (ad esempio, non è più’ previsto l’onere in capo al datore di lavoro di informare, con cadenza annuale, le RSA, ove esistenti, sull’andamento delle assunzioni a tempo parziale). Il nuovo decreto legislativo ribadisce che nel rapporto di lavoro subordinato l’assunzione può avvenire a tempo pieno o parziale, conferma la forma scritta quale elemento sostanziale ai fini dell’onere della prova, il contratto deve contenere l’indicazione puntuale della durata della prestazione lavorativa e della sua collocazione.Vi è inoltre una novità che recepisce alcuni indirizzi della Magistratura sull’indicazione degli orari nei part-time nel lavoro a turni: al c.3 dell’art. 5 si specifica che se l’organizzazione del lavoro è articolata in turni, l’indicazione di cui al co. 2 può avvenire anche mediante rinvio a turni programmati di lavoro articolati su fasce orarie prestabilite (co. 3), nell’intento di facilitare lo sviluppo del lavoro part-time, contemperandone le esigenze imprenditoriali e dei lavoratori.Viene poi sostanzialmente abolita la definizione di part-time orizzontale, verticale e misto, modificando la qualificazione che determinava, nel quadro normativo previgente, una diversa disciplina delle clausole elastiche e flessibili, rinviando ai ccnl (art. 6 c. da 4 a 6) o in mancanza al contratto sottoscritto fra le parti.DISCIPLINA CONTRATTUALE DEL LAVORO PART-TIME: LAVORO SUPPLEMENTARE E CLAUSOLE ELASTICHE Si annota come: – lavoro supplementare sia quello che eccede l’orario concordato tra le parti (art 6, comma 1) anche in relazione alle giornate, alle settimane, ai mesi o all’anno;– lavoro straordinario sia quello prestato oltre l’orario normale di lavoro (art 1 c. 2 lettera c, D. Lgs 66/2003) fissato in 40 ore settimanali salvo diverse disposizioni contrattuali (art 3 del D. Lgs 66/2003). Nel caso in cui la contrattazione collettiva di qualsiasi livello (nazionale, territoriale o aziendale così come precisato dall’art 51 del decreto dove si specifica, attraverso la norma di rinvio, l’ambito territoriale di validità della normativa prevista dalla contrattazione e le parti – sindacati maggiormente rappresentativi sul piano nazionale- autorizzate alla sottoscrizione degli accordi) non disciplini il lavoro supplementare, il datore di lavoro può richiedere al lavoratore lo svolgimento di prestazioni di lavoro supplementare in misura non superiore al 25 per cento delle ore di lavoro settimanali concordate; intento del Legislatore è quindi quello di supplire ad eventuali lacune contrattuali in merito alla modalità e alla gestione del lavoro supplementare, permettendo in futuro alle parti sociali, salvo diversa volontà contrattuale, di non definire le causali per il ricorso al lavoro supplementare, in quanto già disciplinate per legge.Il lavoratore, in caso di mancata previsione contrattuale, può rifiutare lo svolgimento del lavoro supplementare, solo se giustificato da comprovate esigenze lavorative (ad esempio un dipendente con un altro rapporto part time in essere), di salute, familiari o di formazione professionale. Pertanto, il rifiuto ingiustificato da parte del lavoratore configura un inadempimento contrattuale.La previsione del co. 2 art. 6 lascia perplessi: nel d.lgs. 61/00, l’effettuazione di lavoro supplementare, ove non prevista e regolamentata dal contratto collettivo, richiedeva “il consenso del lavoratore interessato”, che poteva sempre rifiutare. Ora invece il rifiuto del lavoratore è ammesso solo “ove giustificato da comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale”. Peraltro non è chiaro come si concili quest’ultima affermazione con la previsione del co. 8 dell’art. 6 per cui “il rifiuto del lavoratore di concordare variazioni dell’orario di lavoro a tempo parziale non costituisce giustificato motivo di licenziamento” (v. già art. 3, co. 3, d.lgs. 61/00, che però conteneva la locuzione “in ogni caso”). Tale punto si ritiene possa essere foriero di contenzioso in quanto la contrattazione collettiva dovrà declinare nel modo più specifico possibile quali siano le varie ipotesi in cui il consenso del lavoratore interessato è richiesto oppure non è richiesto e il suo rifiuto possa dare luogo ad un eventuale inadempimento contrattuale.Il lavoro supplementare è retribuito con una maggiorazione del 15 per cento della retribuzione oraria globale di fatto, comprensiva dell’incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti retributivi indiretti e differiti dovuta in relazione al lavoro supplementare svolto. Se la precedente normativa prevedeva un distinguo tra le clausole flessibili (variazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa) e clausole elastiche (variazione in aumento della prestazione lavorativa), l’attuale formulazione della norma prevede l’assorbimento della dizione “clausole flessibili” nella definizione di clausole elastiche. Le parti possono pattuire, per iscritto, clausole elastiche, che contemplino sia la variazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa sia la variazione in aumento della sua durata, in tali casi va dato un preavviso di due giorni lavorativi o di altra durata se previsto dalla contrattazione collettiva.Nel caso in cui il contratto collettivo applicato non disciplini le clausole elastiche: – queste possono essere pattuite per iscritto dalle parti avanti alle commissioni di certificazione, con facoltà del lavoratore di farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferire mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro;– le clausole elastiche devono prevedere, a pena di nullità, le condizioni e le modalità con le quali il datore di lavoro, con preavviso di due giorni lavorativi, può modificare la collocazione temporale della prestazione e variarne in aumento la durata nonché la misura massima dell’aumento, che non può eccedere il limite del 25 per cento della normale prestazione annua a tempo parziale;– le modifiche dell’orario di lavoro comportano il diritto del lavoratore ad una maggiorazione del 15 per cento della retribuzione oraria globale di fatto, comprensiva dell’incidenza della retribuzione sugli istituti retributivi indiretti e differiti.Al lavoratore è riconosciuta la facoltà di revocare il consenso prestato alle clausole elastiche nel caso in cui si trovi nelle condizioni previste dall’art 8, riguardante le situazioni inerenti alla salute propria o dei propri familiari espressa al co. 7 dell’art. 6 come un diritto di ripensamento (revoca del consenso alla clausola elastica) in alcune situazioni specifiche [lavoratore affetto da patologie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti, lavoratore con familiare affetto da tali patologie o che deve assistere (continuamente) una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa, lavoratore con figlio convivente di età non superiore a 13 anni o con figlio convivente portatore di handicap ai sensi della legge 104/92, lavoratore studente ex art. 10 Stat. lav.].TRASFORMAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO IN CASO DI PATOLOGIE GRAVIL’art. 8 individua nelle patologie oncologiche e nelle gravi patologie cronico-degenerative, qualora siano accertate da una commissione medica istituita presso l’unita sanitaria territorialmente competente, il diritto o la priorità per la trasformazione del rapporto di lavoro. Pertanto, se il lavoratore risulta affetto dalle suddette patologie, per le quali residui una ridotta capacità lavorativa, è riconosciuto il diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale; invece se le patologie sopra descritte riguardano il coniuge, i figli o i genitori del lavoratore oppure il lavoratore assiste una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa, il decreto non riconosce il diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro bensì la “priorità” nella trasformazione.Con questa formulazione sicuramente avremo qualche problema di carattere gestionale. Forse la contrattazione collettiva potrebbe intervenire per meglio disciplinare le priorità. È utile ribadire che il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o viceversa, non costituisce giustificato motivo di licenziamento. Novità degna di particolare attenzione riguarda il diritto riconosciuto al lavoratore di richiedere, per una sola volta, in luogo del congedo parentale la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, purché la riduzione d’orario non sia superiore al 50 per cento.Il datore di lavoro non ha alcun potere di opposizione ed è tenuto a dar corso alla trasformazione entro quindici giorni dalla richiesta. Il legislatore tuttavia, non ha precisato se la richiesta possa essere presentata una sola volta per ciascun figlio o evento di congedo parentale, considerato che il congedo stesso può essere frazionato in diversi periodi; inoltre tale provvedimento dovrà essere contemperato con la possibilità di richiedere il congedo parentale a ore, previsto nel decreto conciliazione tempi vita-lavoro. Di sicuro anche l’Inps dovrà emanare una circolare esplicativa affinché l’Istituto possa essere informato della richiesta del periodo di part-time che riduce la durata del congedo parentale e la relativa indennità a carico dell’Istituto.SANZIONIIl nuovo articolo 10 ha abrogato la parte che ammetteva la prova dei testimoni nei limiti di cui all’art 2725 del c.c., prevedendo che in presenza di difetto di prova in ordine alla stipulazione a tempo parziale del contratto di lavoro, su domanda del lavoratore il giudice dichiara la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno. In questo caso la retribuzione e il versamento dei contributi previdenziali, per il periodo antecedente alla data della pronuncia giudiziale, saranno corrisposte per le prestazioni effettivamente rese. Il suddetto articolo prevede inoltre che:– Qualora nel contratto scritto non sia determinata la durata della prestazione lavorativa, su domanda del lavoratore è dichiarata la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla pronuncia della sentenza.– Qualora l’omissione riguardi la sola collocazione temporale dell’orario, il giudice determina le modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale, tenendo conto delle responsabilità familiari del lavoratore interessato e della sua necessità di integrazione del reddito mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonché delle esigenze del datore di lavoro.Negli ultimi due casi, per il periodo antecedente alla pronuncia, il lavoratore ha diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta per le prestazioni effettivamente rese, a un’ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno.In merito allo svolgimento di prestazioni in esecuzione di clausole elastiche senza il rispetto delle condizioni, delle modalità e dei limiti previsti dalla legge o dai contratti collettivi, l’art 10 riconosce al lavoratore, in aggiunta alla retribuzione dovuta, un’ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno.CONCLUSIONIPer la verifica sulla validità delle novità esposte, legata al nuovo modello contrattuale pensato dal Governo, si dovrà attendere la prova del tempo e la verifica di “come” gli operatori metteranno in pratica le nuove regole. Le norme da poco approvate dovranno integrarsi fra loro nell’ambito della riforma complessiva del diritto del lavoro attuata da questi decreti e dagli altri di recente pubblicazione, ad esempio, il coordinamento del nuovo part-time con quanto previsto dal co. 6 dell’art. 24 del D.lgs 80/2015 relativo al congedo per le donne vittime di violenza di genere (che permette alle lavoratrici, inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere, di trasformare il rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale, verticale od orizzontale [n.b. qui il Legislatore utilizza ancora le tre declinazioni “storiche” del part-time], ove disponibili in organico, e di ritrasformarlo a tempo pieno su richiesta unicamente della lavoratrice).Si ritiene comunque che le nuove regole, oltre ad notevole apertura alla contrattazione collettiva, introducano la regolamentazione legale con un incipit “salvo diversa previsione dei contratti collettivi” che rende tale regolamentazione residuale rispetto a quella collettiva che, per di più, riguarda – secondo una norma generale inserita nella parte finale del decreto (articolo 51) – a qualsiasi fonte collettiva (nazionale, territoriale e aziendale in quest’ultimo caso stipulabile anche con le Rsa o la Rsu).La contrattazione collettiva non è più, quindi, la valvola di accesso alla flessibilità, ma è il motore degli adattamenti (anche integralmente sostitutivi) della regola legale alle specificità dell’azienda o del settore merceologico: a tal fine riteniamo che tale apertura debba essere assolutamente occupata dal ruolo dei Consulenti del Lavoro quali professionisti che vivono la realtà aziendale in prima persona, ne conoscono le principali caratteristiche e possono, attraverso la contrattazione di secondo livello o prossimità, contemperare al meglio le esigenze dell’azienda e dei lavoratori (si citano ad esempio accordi per part-time verticali in particolari periodi dell’anno oppure inserimento del part-time quale strumento di welfare aziendale) Vi è da dire inoltre che lo sforzo del Governo verso la semplificazione della normativa sul lavoro, nel caso del lavoro a tempo parziale, pensiamo sia stato premiato: va detto che esso ne esce sicuramente semplificato, anche dal punto di vista terminologico (spariscono nella legge le 3 ipotesi di part-time: orizzontale, verticale e misto e anche la clausola c.d. flessibile viene accorpata a quella elastica); interessante, anche se non declinata in modo puntuale, la previsione contenuta al co.3, art.5, che prevede la possibilità di individuare la collocazione temporale in “fasce orarie”, auspicabile preludio a una maggior elasticità nell’uso di tale strumento contrattuale, che ha dimostrato fino ad oggi di essere tutt’altro che flessibile e, pertanto, inadeguato a gestire talune esigenze produttive.Come sopra detto le nuove norme approvate quest’estate dovranno essere testate alla prova dei fatti, resta importante comunque sottolineare che nel contemperare le esigenze che pervenivano dalle parti sociali l’attuale normativa prevede margini più ampi e meno rigidi, sgombra il campo da eventuali dubbi interpretativi (storicamente rimessi alla decisione della Magistratura con i tempi che ben conosciamo) e permette, negli ambiti previsti, la sottoscrizione di accordi “su misura” sicuramente più chiari e auspicabilmente non forieri di contenzioso.